A Short Introduction ToFino a raggiungere una superiore armonia, in sommo
grado piacevole e deliziosa...
by
Luigi Lazzerini
A SHORT INTRODUCTION TO
"Minimi, Dialoghi Immobili" / 2011
0. “Credo di poterlo fare”. Quando Eduardo chiede ad Ottilia, la protagonista delle Affinità
elettive, di accompagnarlo al pianoforte mentre suona il violino, la
ragazza si dimostra subito ben disposta. Va a prendere lo spartito
e si siede al piano. Non appena i due incominciano a suonare, tra
coloro che assistono al piccolo spettacolo si diffonde un senso di
meraviglia. Ottilia non si limita a correggere i difetti di Eduardo,
ma li asseconda; sicchè alla fine ciò che si ascolta non è la semplice
sommatoria di due abilità musicali, ma una sorta di “tutto vivente”,
che non rispetta esattamente le regole dello spartito, ma risulta “in
sommo grado piacevole e delizioso”.
1. Mi sono spesso interrogato sui misteri di una creazione che nasce da
un quotidiano lavoro comune osservando i progetti di Gabriele Pardi e
Laura Fiaschi. È evidente che siamo in presenza di un prodotto unico,
di “un tutto vivente” come direbbe Goethe, all’interno del quale due
personalità diverse hanno trovato un punto d’incontro. Nei lavori
industriali che conosco meglio, perché sono stato io a commissionarli,
come il capannone di Via delle darsene a Viareggio, si deve a Pardi la progettazione architettonica con le sue linee di forza e le sue masse,
così come il disegno dei pannelli in cemento armato che prendono
vita dal cassero come il primo uomo si dice sia nato dal fango. Ma
l’intera superficie è poi rivestita da una pelle e acquista davvero vita
solo dopo l’intervento cromatico e grafico di Fiaschi che modifica la
natura dell’edificio e insinuando una componente ludica nel gigante, lo
trasforma in un immenso giocattolo.
2. So come il tutto nacque per avervi assistito personalmente.
Eravamo alla ricerca di un progetto originale per il nostro capannone
industriale ed avevamo battuto varie strade senza successo. Non ci
restava che ripiegare su di un progetto molto semplice. Fu per puro
caso che Laura si offrì di decorare l’esterno dell’edificio. Le proposte
che ci fece erano tutte divertenti, ma alla fine ci piacque in modo
particolare l’idea di trasformare le pareti in un immenso codice a
barre, forse il più grande codice a barre che esista al mondo, in un
tentativo neanche troppo oscuro, a ben vedere, di ribaltare almeno in
parte l’insieme dei valori (senso del dovere, serietà, razionalità) che
di solito presiedono alla progettazione di un luogo di lavoro.
3. Laura ha alle spalle studi regolari, e a quanto ci ha raccontato ha
avuto la fortuna di studiare in un’università privata di Reggio Emilia
i cui ideatori avevano puntato tutto sulla creatività. Per stimolare
le capacità creative degli studenti c’erano continui incontri con
poeti, scrittori, designer, cui i ragazzi provavano a strappare qualche
segreto, si disegnava e si progettava, ma si facevano anche seminari
nel corso dei quali si inventavano storie, poesie, giochi di parole.
Che vada a questa scuola il merito di aver fatto nascere in lei
l’esigenza di creare è certamente possibile, ma bisogna risalire ad
esperienze più antiche, elementari, infantili. Pare ad esempio che
Laura risolvesse i suoi problemi di bambina e adolescente trasferendo
il conflitto sul foglio da disegno e disegnando quel che la faceva stare
male o ciò che voleva comunicare ai suoi genitori. Era la scoperta
di un’intera modalità di comunicare con il mondo che non avrebbe più
lasciato e sotto il cui segno si svolge la sua intera vita. Se dovessi
trovare una formula che serva a spiegare il suo approccio al design
e alla vita direi, dal mio punto di vista estremamente personale di
studioso del Rinascimento, che Laura vive in un mondo senza peccato
originale, un mondo senza rimorsi, senza sensi di colpe o paure. Se ci
sono esse forse sono troppo lontane per essere contattate, e così è per
lei naturale aggirarsi in un universo in cui dominano la fantasia ed il
gioco. Alcuni artisti fanno del gioco uno stile abbastanza facile da
praticare. E quando nelle loro opere applicano questa filosofia del gioco
non appaiono del tutto ispirati e sinceri. Non è il caso di Laura, lei è
proprio così, posso assicurarvelo perché la conosco molto bene. La sua ispirazione si alimenta ad una sorgente interna inesauribile, simile
ad una fontana della giovinezza. Ed è la stessa di quei maestri, un po’
eterni bambini, cui si ispira, Munari, Saint-Exupery, Rodari.
4. Dunque l’idea è spesso il frutto della mente di Laura, fresca,
intuitiva ed in grado di creare senza quelle paure più o meno consapevoli
che l’atto creativo porta con sé. Ma poi l’oggetto intuito deve prendere
forma. E qui il ruolo di Gabriele diventa indispensabile. Si tratta
di capire se l’oggetto come è stato immaginato potrà funzionare, il
che implica una riflessione tecnica a largo raggio: bisogna capire se
l’oggetto si può realizzare, rispondere a tutta una serie di domande
circa la natura e la qualità dei materiali, i congegni e i meccanismi
interni, ragionare di incastri, di dimensioni, di metodi di fissaggio.
Gumdesign è una perfetta officina moderna che non si limita a produrre
idee ma produce oggetti finiti e, con mia grande meraviglia, una
meraviglia che non mi è ancora passata nonostante siano molti anni
che li conosco, produce davvero di tutto: da un orologio a cucù ad un
capannone. Gabriele e Laura passano all’artigiano produttore indicazioni
di lavorazione estremamente precise, contattano i fornitori, scelgono
in prima persona i materiali. Gabriele non è però soltanto la mente
tecnica grazie alla quale le idee di Laura prendono vita: in ogni
progetto di Gumdesign si riconosce, sotterraneamente, una sorta di
linea di forza, un’attitudine alla concretezza, alla razionalità, un
amore per i volumi decisi. Tutto ciò rappresenta il contributo specifico
di Gabriele. Si prenda il tavolo Il Capo: ancora una volta, proprio
come nell’edificio industriale che ho descritto all’inizio, la forza
della fantasia aggredisce un oggetto d’uso comune e lo indirizza verso
insospettati significati ironici e fantastici. Ma se l’edificio per sua
natura appare forte e concreto, non minore concretezza e forza si
percepisce nel grande tavolo bianco che in questi giorni è esposto al
museo Pecci in una delle sale, la prima, che ospitano il padiglione
toscano della Biennale di Venezia.
5. È nel bilanciamento di razionalità e fantasia che sta il segreto
di questo studio, nell’attenzione prestata al lato immaginativo del
progetto come a quello tecnico. Questa natura duplice dei progetti
di Pardi e Fiaschi è particolarmente evidente nel loro oggetto forse
più conosciuto, tanto da poter essere tranquillamente definito ormai
un classico del design italiano contemporaneo, presente in numerose
collezioni e musei, dalla Triennale di Milano al Moma di San Francisco:
il calice Swing. L’idea è semplice, fresca e ludica: si tratta di un
calice inclinato e basculante che risparmia a chi sta delibando il
gesto di rotazione e “rottura” che serve ad apprezzare tutte le qualità
di un vino. Ma questo prodotto non avrebbe avuto affatto il successo che
ha avuto se non funzionasse. Sembra un dettaglio senza importanza, ma lo Swing assolve perfettamente il compito per cui è stato pensato, ed
è proprio grazie a questa efficienza che non è soltanto una curiosità,
ma un oggetto utile, che attira l’attenzione tanto degli artisti quanto
degli appassionati di vini.
6. Razionalità e fantasia rappresentano anche la ragione dell’originalità
della produzione del più grande architetto e progettista industriale
che la Viareggio dell’ultimo secolo abbia conosciuto, Galileo Chini.
Questo geniale designer era anche architetto e pittore e metteva
la sua energia creativa al servizio di progetti nei quali forza e
immaginazione riuscivano a convivere: come il grande edificio delle
Terme Berzieri a Salsomaggiore o il Gran Caffè Margherita. Non va
trascurato il rapporto che Gumdesign intrattiene con la tradizione
del liberty, il gusto eclettico che tanta importanza ha avuto nella
storia urbanistica di Viareggio. Mai o quasi mai i loro progetti
sono totalmente minimalisti: spesso vi si legge una vocazione alla
complicazione, al decoro, alla citazione che rimanda al barocco o al
decò più che a quelle forme spoglie e minimali cui il secondo Novecento
ci ha abituato. Così una casa da loro recentemente ristrutturata a
Viareggio è diventata l’occasione per rileggere alla luce del design
contemporaneo i complicati motivi ornamentali del liberty. Ne è nato
un pavimento in parquet decorato che si avvale di ben tre diverse
essenze di legno e che svolge motivi diversi in ognuna delle stanze
della casa. L’accostamento con le complicate decorazioni delle Terme
Berzieri è evidente, anche se questa continuità non sembra dipendere
da una scelta consapevole, e meno che meno da una riflessione teorica o
storica, ma nasce piuttosto da una consonanza di gusti e da un identico
atteggiamento spirituale.
7. Il mito dell’artista romantico è una creazione recente. Certo,
l’artista ha sempre coltivato passioni e si è mosso sotto il segno
di un’immaginazione eccessiva, cui sacrifica tutta la sua esistenza.
Ma a differenza di quanto si crede gli artisti del Rinascimento
erano chiamati a muoversi entro binari precisi: avevano committenti,
lavoravano a soggetti ben individuati, erano ben pagati. Quando tutto
questo mondo di mecenati e committenti è venuto meno, l’artista si è
trovato ad essere straordinariamente libero. Ma non sempre ha saputo
approfittare di questa sua libertà. Aver smarrito il rapporto con la
committenza, con gli obblighi collegati alla destinazione dell’opera,
e con un pubblico chiamato a giudicare ed apprezzare un lavoro,
ha fatto spesso precipitare gli artisti contemporanei (non tutti
ovviamente) in un isolamento solipsistico e li ha condannati a forme
di sperimentazione che appaiono spesso confuse, gratuite, frivole e
fini a se stesse.
Parallelamente la produzione industriale ha fatto
nascere e crescere artisti che non si limitano a creare liberamente, ma, proprio come quelli del passato, hanno
committenti, devono misurarsi con soggetti
obbligati e rispondere ad un pubblico che
esprime il suo gradimento acquistando, o
non acquistando, i loro lavori. Il mondo
della produzione è per questi artisti una
sorta di correlativo oggettivo che priva
almeno in parte l’operazione creativa della
sua totale libertà (una libertà che come
dicevo è relativamente recente): con esiti
che sono tuttavia salutari.
Ci si potrebbe
chiedere se tra questi artisti-designer, più
che tra gli artisti in senso stretto, si
nasconda oggi la vera arte, o almeno ciò che
dell’arte rimane.
È stato Walter Benjamin, si sa, a mettere
l’arte contemporanea sotto il segno
dell’infinita riproducibilità tecnica.
Ma che
significa “riproducibilità”?
Nel corso del
secolo passato sono stati molti gli artisti
che hanno visto nel multiplo riproducibile
in un certo numero di copie la soluzione
al problema della riproducibilità. A ben
vedere, tuttavia, il multiplo appare ancora
come un oggetto ibrido, sospeso com’è tra
creazione individuale e industriale. Oggetti
come il tavolo Il capo rappresentano un
ulteriore passo in avanti: non semplici
componenti d’arredo, e neppure multipli come
le litografie, ma vere e proprie opere d’arte
di produzione industriale che possono essere
acquistate e fruite da molti ad un prezzo
ragionevole e prefissato.
8. Non voglio però trascinare la discussione
sul terreno della filosofia dell’arte. Che si
tratti di arte o di produzione industriale
ha davvero poca importanza. Quel che credo
di sapere è che si tratta di una musica
eseguita in duo da esperti musicisti che
non soltanto sanno compensare le loro
manchevolezze, ma si spingono più avanti,
fino a raggiungere, per usare le parole di
Goethe, una superiore armonia, in sommo
grado piacevole e deliziosa.