Design Antropologico, la Narrazione dell'AbitareI racconti emergono dalla pietra come le sculture dal marmo e sono narrazioni dell'abitare...
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Cinzia Compalati
LA CASA DI PIETRA
per CAMeC della Spezia / 2018
La globalizzazione è la più lampante esacerbazione della complessità sociale contemporanea in cui affiorano parallelamente individualismo e spersonalizzazione: sempre più ego e sempre meno identità.
La fortunata locuzione di Marc Augé, "Non luoghi", esprime con lucidità gli attriti di questo fenomeno in cui spazi svuotati di significato si inseriscono prepotentemente nella quotidianità.
I limiti fisici – e quindi anche la casa – servono all'uomo come recipienti di esperienze sociali ed emotive senza le quali l'esistenza rischierebbe di essere percepita in modo ancora più fluido. L'interesse scientifico per il senso di appartenenza a un luogo – che si compone sia di una dimensione emozionale che di una materiale – ne è forse la prova più manifesta.
L'abitare ha avocato a sé tutta la complessità del suo significato semantico: esso contempla non solo la casa strictu sensu, ma, in una progressiva estensione, l'ambiente che le sta intorno, la sua geografia, la sua storia.
L'uomo percepisce l'abitare nelle due accezioni anglosassoni di home e di house in cui la prima ha un valore esclusivamente emotivo di casa, nido, rifugio, luogo di accoglimento e raccoglimento mentre la seconda di abitazione, edificio, contenitore.
Parlare di abitare vuol dire confrontarsi con un fenomeno umano e sociale totale. L'abitare appartiene all'uomo: è il modo attraverso il quale ha scelto di vivere il proprio pianeta dandogli significato e appropriandosene.
In chiave sociologica l'abitare è una relazione complessa che l'uomo instaura con uno spazio fisico innescando un sistema di riferimenti culturali e opportunità sociali che contribuisce a generare. La casa rappresenta tanto materialmente quanto simbolicamente un presupposto di "sicurezza" e in un'era di prepotenti accelerazioni e trasformazioni tale accezione non può che risultare amplificata.
La Casa di Pietra è un progetto nato nel 2014 all'interno di un contesto commerciale, Marmomacc, la più grossa fiera del lapideo che si tiene ogni anno a Verona. Presentare una collezione di design in una situazione in cui si vendono blocchi di marmo era un azzardo, immediatamente premiato dal riconoscimento culturale e comunicativo che ebbe il progetto, vincitore del Best Communicator Award 2014. In pochi anni le collezioni sono diventate cinquanta, di cui venti presentate in anteprima al CAMeC, gli oggetti circa duecento e le tappe espositive quindici.
Ma al di là dei numeri è certamente il concept culturale, presente fin dalla sua fase embrionale, ad aver convinto e ad aver portato La Casa di Pietra tra i selezionati all'Adi Design Index 2016, in corsa dunque per il Compasso d'Oro nella sezione Ricerca d'impresa.
Riportare la pietra in casa è una piccola rivoluzione all'interno del mondo del design, basti pensare che è sostanzialmente scomparsa nel 1962 con la lampada Arco di Castiglioni. Partiti dalle origini – la prima casa, la caverna, era di pietra – i gumdesign hanno seguito il corso del tempo cercando di scavare nell'io più profondo dell'uomo, per far emergere racconti ancestrali, memorie geneticamente tatuate nello spirito, creazioni emotive.
I loro sono oggetti antropologici sia perché pensati sulle esigenze dell'individuo e del rapporto di esso con lo spazio, sia per la relazione affettiva ed emozionale che hanno con la storia dell'umanità.
Sono oggetti/simbolo, icone non di un tempo ma del tempo, umano e antropologico, in cui la casa assume il valore del "focolare", il luogo in cui l'uomo lascia segno di sé.
Anche l'uomo primitivo, tra le quattro mura della spelonca, si era distaccato dalle mere necessità di sopravvivenza per lasciare ai posteri memoria del suo passaggio sulla terra e condividere le proprie ore domestiche con oggetti d'affezione.
Il modus progettuale di Laura Fiaschi e Gabriele Pardi prevede che ogni collezione sia sempre realizzata da due protagonisti: da una parte loro, i designer, dall'altra gli artigiani – sempre in coppia, uno che lavora la pietra e uno esperto in altri materiali, quasi sempre situati in regioni italiane diverse – che di volta in volta mettono a disposizione la loro sapienza e maestria. Ne nasce un duplice lavoro di ricerca, uno in seno alla tradizione architettonica non funzionalista, l'altro, di scoperta, delle più abili maestranze italiane che si occupano di alto artigianato.
I Racconti emergono dalla pietra, spontaneamente, come le sculture dal marmo, e sono narrazioni dell'abitare, dimensioni archetipiche che tramandano valori esistenziali universali.
Al CAMeC il mare ha trasportato dei relitti, frammenti arrugginiti, ricordi sepolti sotto la sabbia e riaffiorati tra le onde, oggetti che hanno attraversato tempi e spazi. Sono scatole in divenire, fossili che si trasformano – con l'intervento dell'uomo – in oggetti funzionali; dalla struttura allestitiva si giunge al prodotto finito, ai Frammenti, veri e propri complementi d'arredo realizzati da lamiere in ferro e ottone trattato, un passaggio concreto e diretto tra 'materia' e 'forma/funzione/concetto'.
La mostra si articola in modo narrativo in un continuo confronto tra un piano spaziale e uno temporale: l'orizzontalità del tempo, rimarcata da un'esposizione 'a terra' degli oggetti, in cui appaiono come riaffiorati dal passato, dalle viscere della terra e la verticalità del presente dove le sapienze antiche sono state accolte e rielaborate dall'uomo contemporaneo.