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Il Design delle EmozioniUn design che spariglia le discipline e dovrebbe essere commentato da uno psicanalista...


by
Marco Romanelli

IL DESIGN DELLE EMOZIONI
in "Minimi, Dialoghi Immobili" / 2011

Il nostro mondo, confuso e frettoloso, sbaglia sovente: in due direzioni.
Da un lato proponendo il peggior generalismo, espresso nel termine design, utilizzato, senza alcun criterio, a segnalare un oggetto che “esce dalla normalità”. Dall’altro esasperando un corretto sistema definitorio, che prepone al termine design uno specificativo: furniture design, lighting design, fashion design, fino a estremi parodistici, dal food design al sex design.

Gabriele Pardi e Laura Fiaschi (astutamente celati sotto lo pseudonimo Gum design) sfuggono alla prima logica come alla seconda per portarci altrove: verso il design delle emozioni.
Superato il concetto di funzione, abbandonati i principi della gute form, i Gum inseriscono nei loro oggetti valori diversi, appunto emozionali, che chiedono di essere interpretati con parole inedite per il nostro settore disciplinare. Parole prese in prestito dalla psicologia e dalla prossemica.

Parole che raccontano (gli oggetti di Gum sono in realtà racconti, brevi e fulminanti) un modo diverso di vedere e vivere il mondo, attenti a cogliere i valori della condivisione, a stimolare la sorpresa, ad accettare le fragilità insite nell’essere umano: dai “narcisismi”, vedi la collezione “Monologo e Dialoghi”, all’“ebbrezza”, vedi “Calici Caratteriali”.

Ecco allora che gli oggetti possono piegarsi, garbatamente, perdendo la loro virile “rettitudine”, per farsi “più vicini”; possono muovere dal frammento per ricostituire l’intero, a ricordarci il valore “dello scarto”, ma anche quella speranza di redenzione che accomuna uomini e cose nella felicità del risultato finale; possono mostrare i nervi e le ossa che stanno, anche negli oggetti, sotto la pelle.

Un metodo quello dei Gum che, al di là dell’apparenza lieve, obbliga a pensare, e a volte irrita, in specie i puristi della forma.

Un design che non riconosce maestri (eccezion fatta forse per il Munari delle sculture da viaggio e della scimmietta Zizì), che spariglia le discipline e dovrebbe essere commentato da uno psicanalista piuttosto che da un critico del design di formazione razionalista (anche se parzialmente pentito).

In questo senso Gabriele e Laura sono battitori liberi che si pongono da soli al margine del mercato, in una posizione lussuosamente elitaria da cui possono lanciare puntuti aeroplanini di carta ai designer che “fanno i numeri” e “contano le royalties”.

Gabriele e Laura che, sulle sponde del loro mare, così vicino e così lontano dalle grette pianure lombarde, infilano messaggi in bottiglie, magari “senza collo”, perché giungano in altri lidi, alle terre “dell’incontrario”, dove si sa ancora sorridere.

P.S. e, mentre scrivevo, strano davvero! incoercibile sorgeva il bisogno di canticchiare:
Se risalisse il fiume alla foresta Se ritornasse l’acqua alla montagna Se rivenisse l’ora della festa Sarebbe ancora grano la farina Se ritornasse l’acqua alla montagna Se si tenesse il mare in una cesta.
Francesco De Gregori, “Volavola”, 2008