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Il Design come Antropologia del QuotidianoIn sostanza, fare ricerche utili a un processo di design è un’operazione di antropologia culturale...


by
Carlo Branzaglia

IL DESIGN COME ANTROPOLOGIA DEL QUOTIDIANO
in "La Casa di Pietra, Racconti Emersi" / 2014

Con un progetto come quello de Le Case di Pietra, e con i Racconti emersi che lo sottotitolano, potremmo sbizzarrirci a seguire mille tracce, più o meno consuete, in direzioni anche assai diverse.
Per esempio, già l’idea che il design sia narrazione, rimarcata dal sottotitolo stesso. Oppure, la dimensione archetipica (forse per questo emersa?) di molti dei progetti presentati.
E, conseguentemente, la loro venatura ‘segnaletica’ oltre che affettiva, ad indicare precisi comportamenti nell’ambiente domestico: prossemiche, logistiche, strategie e tattiche nella gestione dello spazio. Potremmo anche sottolineare, sotto tutt’altro rispetto, il ruolo di dimostrativo che i concept (tali sono, i prototipi presentati) hanno, nel rapporto con l’impresa che li realizza. E via dicendo.

Ma dietro agli aspetti appena citati, ce ne sono due, strettamente connessi, che conviene affrontare in un paese nel quale comunque non siamo ancora disposti ad accettare, pur vantandocene assai, il design nella sua efficacia trasversale a molti settori, e il suo ruolo di strumento atto a risolvere problemi di qualsivoglia natura.

Strumento, prima ancora che disciplina. I due aspetti cui si fa riferimento sono il ruolo delle design research; e la attitudine antropologica del design.

Cosa significa fare ricerche che siano efficaci ai fini della attività di progettazione? Significa sostanzialmente individuare e mappare una serie di bisogni inespressi, attraverso gli usi, prima ancora dei consumi (De Certeau docet) che la "gente" (così la chiamava il grande studioso francese) fa delle cose: cose in senso lato, ovvero oggetti, servizi, spazi, e via dicendo.
Quindi, significa disegnare quella griglia di comportamenti, e infine di mediazioni culturali, che si trovano alle spalle di ogni attività umana, a cominciare da quella materiale, nell’utilizzo di artefatti.

In sostanza, fare ricerche utili a un processo di design è un’operazione di antropologia culturale: e d’altra parte, nessun ambito più di quello progettuale concorre a determinare i canoni della nostra cultura materiale, che, è sempre bene ricordarlo, non è fatta tanto di oggetti, quanto delle relazioni che gli oggetti stessi determinano, e che quindi rappresentano l’obiettivo vero della progettazione, obiettivo di dichiarato impatto comportamentale, ovvero culturale. Per chiudere il cerchio.
La prima fase, peraltro, in cui si prova a dare una risposta alle domande inespresse che costituiscono il fine del progetto, è proprio quella di concept. Un semilavorato concettuale che offre molteplici opportunità: immaginare una forma e le sue relazioni con l’utente; prevedere materiali, lavorazioni, tecnologie da impiegare; ipotizzare un posizionamento di mercato per l’artefatto e per l’organizzazione che lo produce.

Quindi, un momento centrale nella costruzione delle ipotesi progettuali destinate poi a tradursi in prodotto concreto. Un crocevia dell’oggi tanto celebrato design thinking; quello nel quale la teoria si fa pratica, la strategia si avvicina alla tattica, la professione diventa anche mestiere.

Insistere su questa dimensione antropologica del design, caratteristica assolutamente peculiare dello stesso, che gli permette di esprimere nessi culturali in artefatti concreti, è (banale dirlo) vieppiù importante in un mondo complesso, glocale, e dominato da una crisi dei modelli economici e di consumo, che si traduce in crisi sociale e psicologica.

Tale insistenza è anche peraltro una caratteristica comune della serie di volumi di cui quest’ultimo è quarto episodio; e rappresenta anche lo stile di molte operazioni analoghe di Gumdesign.

Stile progettuale, si intende: cioè un modo di approcciare il problem solving.
Oltretutto, sempre originale.